Viviamo in un sistema complesso. I sistemi complessi sono intrinsecamente difficili da modellare a causa delle interazioni interne ed esterne, la cui reazione ad un determinato stimolo è difficile da predire. La capacità di un sistema complesso di assorbire colpi più o meno forti e ciononostante mantenere la loro struttura e funzionalità è denominata resilienza. Sistemi incapaci di resilienza si destabilizzano e mutano, solitamente, in modo peggiorativo1.
Quando si parla di ricerca, di sicuro avete già sentito nominare i termini “Ricerca traslazionale” e “dal laboratorio al letto del paziente” oppure “from bench to bedside”.
Ma cosa significano esattamente?
L’argomento potrebbe sembrare una contraddizione: com’é possibile praticare sport di maggiore intensità essendo appena stato sottoposto ad intervento cardiochirurgico?
In effetti possibile lo è, anche se non per tutti i pazienti indistintamente.
L’argomento è complesso e necessita di un approccio differenziato. Le componenti principali dell’equazione sono le seguenti:
Mi ricordo molto bene come sono state le mie prime esperienze da studente di medicina in una sala operatoria. Messo in un angolo, toccando con la schiena il muro, quasi immobile, (sull’ordine del chirurgo!) e per la preoccupazione del personale di sala che toccasi qualcosa e renderlo non sterile, ascoltavo il chirurgo descrivere ogni tanto ciò che stava facendo. Un’esperienza umiliante. Non ho molato perché ero munito di perseveranza e di voglia di vedere e imparare. Solo così ad un certo punto la mia presenza non è stata più vissuta come minaccia alla sterilità, ho potuto avvicinarmi e finalmente vedere qualcosa in più. Lavarmi e mettermi al tavolo operatorio è stato possibile solo all’ultimo anno, quando è prevista l’assistenza in sala.
Questa esperienza non ha niente di straordinario, anzi è purtroppo la regola.
La buona qualità delle cure mediche e chirurgiche è un requisito di base di ogni paziente e della sua famiglia. Lo stesso vale anche per chi paga per le cure (le casse malattia, stato ecc.) anche se motivato da fattori differenti. Pertanto, poter definire e misurare la qualità fornita è di fondamentale importanza. Ma come viene definita la “qualità della cura”?
L’Istituto di Medicina (IOM) dell’Accademia Americana delle Scienze la definisce come “il grado che possa rispecchiare il risultato desiderato delle cure e che sia conforme al sapere professionale attuale”.
Tradizionalmente le capacità tecniche in chirurgia vengono acquisite secondo un “modello di apprendistato”: i chirurghi in formazione imparano in sala operatoria, sotto supervisione, compiendo parte o interventi interi su veri e propri pazienti.
È una delle più grandi emergenze della cardiochirurgia, anzi, dell’intera medicina direi. Dal soggettivo benessere arriva un forte, fortissimo dolore lancinante al torace che inevitabilmente porta la persona affetta a cercare aiuto medico. Al Pronto Soccorso viene seguito un protocollo diagnostico del dolore toracico acuto. Escluso un infarto miocardico acuto, viene eseguita una TAC per escludere o confermare la dissezione acuta dell’aorta.
Il 10 giugno 2017 con la festa di laurea nell’anfiteatro TMEC Walter della Harvard Medical School si è concluso formalmente un anno molto impegnativo, ma altrettanto interessante e proficuo. Uno studio, nominato GCSRT (Global Clinical Scholar Research Training), centrato su materie di ricerca clinica (biostatistica, epidemiologia, etica), che andava molto più in profondità di quello che inizialmente ci si poteva imaginare. Parte della materia facevano anche elementi collaterali, come management personale e del team, “mentorship” e “leadership”. Continua a leggere
Questo post è un tributo alle famiglie dei pazienti. I miei pensieri sono rivolti in particolare a quelle famiglie con parenti che hanno avuto un esito sfavorevole, gravi complicanze o che purtroppo non sono sopravvissuti all’intervento.
Nell’arco degli anni la chirurgia cardiaca ha subito diversi cambiamenti sostanziali. Da veri e propri arditi della chirurgia che salvavano la vita ai pazienti con manovre per così dire avventurose e non di rado pericolose, siamo arrivati ai giorni nostri ad avere una chirurgia che viene quasi presa per scontata, con pretese di sicurezza e garanzia di buoni risultati. Nonostante quest’ultima affermazione sia vera (nella gran maggioranza dei casi), il cambiamento non finisce qui: la chirurgia cardiaca è ora percepita essere troppo invasiva, principalmente a causa dell’accesso chirurgico standard (la sternotomia mediana, cioè il taglio verticale lungo lo sterno). La maggior invasività dell’accesso al cuore va contro la tendenza attuale che richiede un accesso agli organi interni in maniera poco invasiva, possibilmente attraverso un catetere inserito in un vaso periferico.