States of mind: #1 – meno invasività (cardiochirurgia con accessi limitati)

Nell’arco degli anni la chirurgia cardiaca ha subito diversi cambiamenti sostanziali. Da veri e propri arditi della chirurgia che salvavano la vita ai pazienti con manovre per così dire avventurose e non di rado pericolose, siamo arrivati ai giorni nostri ad avere una chirurgia che viene quasi presa per scontata, con pretese di sicurezza e garanzia di buoni risultati. Nonostante quest’ultima affermazione sia vera (nella gran maggioranza dei casi), il cambiamento non finisce qui: la chirurgia cardiaca è ora percepita essere troppo invasiva, principalmente a causa dell’accesso chirurgico standard (la sternotomia mediana, cioè il taglio verticale lungo lo sterno). La maggior invasività dell’accesso al cuore va contro la tendenza  attuale che richiede un accesso agli organi interni in maniera poco invasiva, possibilmente attraverso un catetere inserito in un vaso periferico.

La chirurgia cardiaca sta transitando da uno stato di “accesso maggiore – intervento maggiore” ad uno di “accesso minore – intervento maggiore”.

In altre parole, l’intervento in sé rimane inalterato: ciò che cambia è l’accesso chirurgico e tutto ciò che questo comporta (strumenti chirurgici ad esempio). La transizione è lenta e relativamente tardiva rispetto ad altri tipi di chirurgia, come quella addominale o quella ortopedica.

Le ragioni principali sono duplici.

La prima concerne la sicurezza. Durante gli interventi chirurgici possono capitare degli intoppi: tuttavia, nella chirurgia cardiaca questi intoppi possono diventare incidenti con conseguenze gravi. Se il tipo di accesso chirurgico diventa un ostacolo maggiore nella prevenzione degli incidenti o, più importante, nella loro correzione se e quando capitano, i cardiochirurghi non saranno giustamente motivati ad adottarlo. Ci sono, tuttavia, diversi modi per affrontare questo tipo di sollecitudine (vedi sotto).

La seconda ragione è la percezione della necessità della transizione. La necessità deriva da sviluppi che creano pressioni minacciando lo spazio vitale. Industrie e multinazionali sono state costrette a reinventarsi per evitare ridimensionamenti, molte con successo, altre senza.

Attualmente, la chirurgia cardiaca sente la pressione a diversi livelli: la scienza e l’industria sono alla continua ricerca di nuove frontiere e nuovi mercati sviluppando apparecchi destinati a trattamenti transcatetere. I pazienti e le loro famiglie sono attratti dalle procedure meno invasive possibili e che richiedono durate minime di ospedalizzazione, anche se ciò si traduce in un risultato meno conclusivo o addirittura sub-ottimale rispetto ai risultati ottenuti da un intervento a cuore aperto. I medici curanti ascoltano queste esigenze e cercano di trovare il miglior compromesso per consigliare i loro pazienti. Ma non tutti i cardiochirurghi percepiscono questo cambiamento.

Il messaggio è chiaro: i cardiochirurghi devono evolvere. Occorre inventare nuove modalità per garantire, con metodi meno invasivi, gli stessi eccellenti risultati ora assicurati dalle tecniche tradizionali.

Questa missione potrebbe sembrare impossibile. Per parecchi tipi di interventi un approccio meno invasivo non solo è possibile ma addirittura può raggiungere risultati migliori.

Per trasformare il proprio metodo di lavoro occorre che la mini-invasività diventi una convinzione, un vero e proprio impegno personale. Solamente nel momento in cui la mini- invasività diventa lo standard (e non l’eccezione), la mentalità inizierà a cambiare. È qui che lo “state of mind” entra in azione.

Per arrivarci, il chirurgo deve dapprima prepararsi tecnicamente. Conferenze, studi di letteratura medica, internet (video, forum, ecc), discussioni fra esperti e simulazioni (vedi Figura 1 per un esempio) sono tutti punti che appartengono alla preparazione tecnica. Le tecniche chirurgiche applicate a interventi tradizionali devono essere riconsiderate e adattate per poi poter essere applicati attraverso accessi ridotti. Ogni possibile scenario, specialmente quello delle complicazioni, deve essere visualizzato e passato al setaccio fino a quando il chirurgo non si sente ben preparato ad affrontare ogni evenienza. Questo approccio è inteso a lenire l’apprensione riguardo alla sicurezza.

Fig. 1: Sistema artigianale per la simulazione ed esercitazione delle anastomosi prossimali per la chirurgica coronarica meno invasiva attraverso una mini-toracotomia sinistra.

Fig. 1: Sistema artigianale per la simulazione ed esercitazione delle anastomosi prossimali per la chirurgica coronarica meno invasiva attraverso una mini-toracotomia sinistra.

 

Dalla decisione di transitare ai fatti può/deve passare parecchio tempo. Ma dopo i primi casi e gli adattamenti tecnici, il nuovo approccio deve diventare il nuovo standard. Ogni paziente deve essere primariamente considerato come candidato per la chirurgia mini-invasiva e solamente in casi controindicati il tipo di accesso deve essere commutato ad una sternotomia mediana. La transizione verso questo nuovo standard porterà il chirurgo a sviluppare i propri rifinimenti tecnici e miglioramenti. La transizione avrà un impatto sull’intera équipe (anestesisti, personale di sala, perfusionisti), ma quando diventa il nuovo standard si  riesce velocemente a operare in completa tranquillità.

La minore invasività deve diventare il nuovo standard, il nuovo “state of mind”.

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PS: un ringraziamento al Prof. Tristan Yan (Australia) per il permesso di utilizzare i disegni dal suo sito www.tristanyan.com.